Psicologia Ambientale e Terapie di Supporto (parte 3)
- Francesco Parretti
- 19 gen
- Tempo di lettura: 4 min
IMPATTO EMOZIONALE
La psicologia ambientale analizza molteplici fattori che influiscono sul comportamento delle persone, questa analisi è possibile solo grazie alla contemplazione dell'impatto emotivo dell'individuo in rapporto agli ambienti da esso vissuti. In questo senso uno dei più importanti fattori impattanti è senza dubbio la presenza o l’assenza di rumore. Il rumore, infatti, determina notevoli effetti nocivi sull’individuo, che, a seconda dell’intensità dei suoni, percepisce come fastidio, rabbia e nervosismo. Il rumore, di fatto, è una definizione parzialmente personale, soggettiva, di come qualsiasi suono venga percepito come indesiderato o fastidioso. La composizione di una combinazione di frequenza non armonica genera quell'effetto che noi identifichiamo come rumore. In questo senso il rumore è quindi in rapporto strettamente energetico col nostro dispendio psichico. Non è certo difficile capire che l'aspetto delle sonorità cambia notevolmente da ambiente urbano (aerei, treni, macchine, camion, cantieri, stadi, conversazioni ecc.) ad ambiente naturale (cinguettii, sibilio del vento, fruscii di foglie, risacca del mare ecc,). L'effetto primario dell'impatto sonoro sulle emozioni dovrebbe per natura essere di sostegno agli stati ansiosi, depressivi e di rabbia, con effetti positivi associati alle frequenze cardiache e quindi a tutto il comparto psico-corporeo. La musicoterapia è in questo caso lo strumento ideato al sostegno dell'individuo. Essa associa in maniera molto forte gli stati emotivi della persona alle vibrazioni sonore recepite dal sistema neuronale. Con le alterazioni sonore delle onde cerebrali è possibile generare importanti cambiamenti a diverse funzioni mentali e fisiche. Questo può tradursi in una respirazione e una frequenza cardiaca più lenta, ma anche un'attivazione della risposta di rilassamento ad opera del sistema parasimpatico (Birnbaum, 2023).
In generale si può dire comunque che la sensibilità dell’orecchio umano all’intensità di suoni e rumori, se supera la soglia misurata dei 90 dB, diventa drasticamente intollerabile per chiunque a causa dell'aumento di volume. Un altro fattore curioso e molto decisivo è che lo stesso rumore prodotto da noi stessi risulta più tollerabile di quando viene prodotto da una sorgente esterna. Questo perchè essendo un fattore propriamente egocentrico lo si può interrompere liberamente quando più lo si desidera e non ci si sente vittime dell'incontrollabile. Un fatto constatato recentemente dalla psicologia cognitiva sembra dimostrare poi che la prevedibilità del rumore e la sua costanza, come ad esempio un bus che passa davanti all'abitazione alla solita ora, aiutano il soggetto ad abituarsi all'adattamento di questo stress ambientale. In parole povere la persona elimina lentamente l’attenzione dagli oggetti focalizzandosi su altro. Il fastidio percepito in questo caso dipende dalla sensibilità della stessa, ma non previene in ogni caso dall'impatto psicofisico che la fonte sonora ha sulla persona. Secondo la bionergetica, un ramo della psicoterapia, il suono generebbe un riverbero notevolmente influente sulle cellule del nostro corpo, che a sua volta immagazzinano l'informazione e processano delle modificazioni interne, indipendentemente dalla sensibilità della persona e dal controllo psichico (Lowen, 1991). Questo perchè l'individuo è considerato, in quest'ottica, come essere unitario, in cui corpo e mente sono legati in maniera indissolubile. Tornando al tema, il rumore è in sintesi un sottofondo che interferisce con la capacità di comunicazione, che maschera il parlato e provoca isolamento e frustrazione sociale. Un insieme di frequenze, più o meno disturbanti, definite da Schafer (1977) come paesaggio sonoro.

L'impatto emozionale dell'abitare, come abbiamo visto, è fortemente influenzato dalle percezioni degli organi di senso. Sotto questo punto di vista non può certo mancare il condizionamento ambientale dovuto alla temperatura esterna, alle fluttuazioni climatiche e alle condizioni meteorologiche. In linea di massima, e come dimostrato anche da Cohn (1993), il caldo intenso influisce negativamente sulla percezione del prossimo, provoca diminuzione dei comportamenti altruistici e accentua l'apatia. Il freddo intenso, di contro, provoca una riduzione della destrezza muscolare, modificando a livello comportamentale la velocità con cui si muovono gli individui, sia per velocizzare gli spostamenti, che per mettere in moto il lavoro muscolare che genera calore corporeo. “Il freddo porta a ridurre i contatti sociali, le attività all’aperto e rende le persone più propense all’attività lavorativa, tanto che alcuni studiosi attribuiscono al clima freddo la discrepanza tra i paesi nordici dove l’attività lavorativa rimane tutto l’anno su livelli standard e i paesi mediterranei in cui, invece, si assiste ad un netto decremento della motivazione al lavoro nei mesi estivi” (Costa, 2009).
Su questo argomento, staccandosi per un attimo dalla lettura psicologica e immergendosi in una visione più olistica, che contempla il passato e un punto di vista antropologico, si nota che certe culture, erano già fortemente a conoscenza del rapporto che intercorre tra clima, impatto emozionale e ambiente. In special modo nelle tradizioni Sino-Giapponesi, già formate da importanti filosofie mediche e spirituali, le variazioni atmosferiche erano considerate le fondamenta del benessere psicofisico dell'individuo. In medicina tradizionale cinese, il vento aumenterebbe l’irritabilità, il nervosismo e l’impazienza, favorendo i comportamenti aggressivi e gli stati di irritazione e malessere. Non solo, la sua influenza si ripercuoterebbe nell'organo del fegato e nelle funzioni ad esso correlate. L’esposizione prolungata o eccessiva all’umidità invece disturberebbe l'organo della milza, ostacolandone il lavoro per disarmonia e creando senso di pesantezza e inappetenza nell'individuo. I cambiamenti dell’umore, del ritmo del sonno, del peso e delle attività erano in egual modo tutti fattori già presi in considerazione con l'andamento stagionale. Viene intuitivo notare che in genere sia in autunno che in inverno, con l'accorciamento delle giornate, ovvero della diminuzione di ore di luce, peggiora anche l’umore nelle persone. Questa presa di coscienza era nota già allora quanto dimenticata adesso. In questo quadro comunque, sfruttando il legame col passato, possiamo dedurre che l'uomo ha da sempre associato all'ambiente e alle sue variabili una ricerca al miglioramento del benessere. La consapevolezza di una riduzione di disagio psicofisico, come stress e malattie, era allora come non mai in stretto rapporto con una diminuzione sull'impatto emotivo e su una maggiore regolazione delle risorse naturali.
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